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25 novembre 2011 5 25 /11 /novembre /2011 06:00

Dall'etichetta alla bolla

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George Cruikshank, Cruikshank’s Comic Almanack, (Londra, Charles Tilt, 1840). Puntasecca. [Scan: Coconino World]. Le immagini umoristiche e satiriche, pubblicate da Cruikshank negli anni 1830-1850, svolgono un ruolo di collegamento tra le incisioni di Hogarth (spesso sature di indicazioni scritturali) e le grandi immagini dello Yellow Kid di Outcault della fine del XIX secolo. Il linguaggio commerciale dei poster, che invadono i muri di Londra all'epoca, rassentano frequentemente quello delle etichette labels (antenati della bolla).

 

Thierry Smolderen

 

La creazione di una scena audiovisiva sulla carta

 

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Per il lettore di oggi, leggere un fumetto è un compito perfettamente trasparente; ciò non significa, comunque che il linguaggio del fumetto sia naturale e semplice. Tutto ciò che la sua trasparenza indica, è che lo pratichiamo correntemente. La familiarità rappresenta anche una trappola seria per lo storico, che può credere che alcune delle soluzioni create sono state accettate soltanto perché la loro semplicità e la loro efficacia facevamo di esse delle soluzioni evidenti. La domanda che bisogna porsi, è perché alcune soluzioni cominciano a compiere il loro compito in modo trasparente- a dare quest'impressione di semplicità e di efficacia- a partire di un dato periodo. 

A questo proposito, la storia della bolla è esemplare. La bolla, oggi, appare il mezzo più naturale per far parlare dei disegni in una sequenza narrativa. Si tratta di una convenzione, sicuro, ma nella misura in cui essa svolge perfettamente il suo compito, non si vede ciò che essa potrebbe avere come legame profondo con il mondo nel quale essa ha cominciato a svolgere questo ruolo: dire che essa sia una soluzione semplice ed efficace, ben adatta al compito, sembra regolare la questione.

Ma come spiegare allora il problema sul quale hanno urtato tutti gli osservatori, e che si può riassumere con la domanda seguente: perché, prima della fine del XIX secolo, gli autori, che tuttavia si servivano volentieri della bolla in altri contesti, non la utilizzarono mai nelle loro storie ad immagini?

Töpffer stesso vi fa ricorso in alcuni dei suoi disegni umoristici, George Cruikshank l'utilizza correntemente nelle sue raccolte di immagini comiche; molto frequente nelle storie della rivista Punch, la bolla è onnipresente nelle satire grafiche del mondo anglosassone sin dal XVII secolo. Tutti i disegnatori la conoscono, e nessuno di loro pensa di utilizzarla nel quadro di una storia ad immagini. Se la bolla era una soluzione così evidente- semplice, naturale, efficace- come pensiamo, la cosa sarebbe inspiegabile. In realtà, si deve esaminare il suo ruolo nel contesto della satira grafica, campo nel quale essa era ancorata da secoli, per comprendere ciò che la rese incompatibile con il genere di storie disegnate sino alla rivoluzione audiovisuale degli anni 1895-1903.

smolderen3.pngThomas Rowlandson, An Irish Howl, 1799. (Copia realizzata in xyloincisione da T. Fairholt, 1848). Il genere della satira grafica privilegia le immagine allegoriche ed emblematiche, nelle quali le banderuole parlanti hanno naturalmente il loro posto. Queste immagini si distribuiscono tuttavia in una dimensione astratta, fuori dello spazio e del tempo, che esclude ogni sviluppo narrativo.

 

 

Ciò che chiamiamo "bolle" (bulles) dei fumetti (bande dessinée) oggi, e che gli anglo-sassoni chiamano speech balloons (bolle parlanti), non è sempre stato chiamato così. La terminologia, come vedremo, non è senza impostanza. La parola filatterio, antidoto in greco, designa una formula di protezione che si legava su di sé come un talismano, per proteggersi dalla cattiva sorte e dalle malattie, nell'Antichità. Il Nuovo Testamento l'utilizza per descrivere l'uso ebraico ortodosso consistente nel portare al braccio o sulla fronte delle strisce (bande) di pergamena o di vitello, sui quali sono scritti dei versetti della Bibbia.

 

La parola è ripresa durante il periodo medievale per designare le banderuole  arrotolate all'estremità, che permettono l'inserzione di legende in diversi tipi di immagini (architettura, scultura, arti grafiche). Gli specialisti hanno cura di far notare che queste banderuole non riportano che raramente le parole pronunciate dai personaggi: la maggior parte delle volte esse funzionano come delle semplici etichette indicanti i nomi dei profeti o degli evangelisti, o le prime righe delle opere di cui esso sono gli autori. È proprio il nome di etichetta (label) che è utilizzato  dai dizionari e autori anglofoni, sino al XIX secolo, per designare il suo impiego (quasi sistematico) nel quadro delle satire grafiche.

 

Ora, le immagini satiriche nelle quali appaiono le etichette sono essenzialmente di natura emblematica. In queste pure costruzioni intellettuali, i personaggi e gli accessori hanno allo stesso tempo un senso letterale (la "scena" presentata dall'immagine) e un senso nascosto che il lettore deve decodificare.

 

Sul piano letterale, l'immagine può significare assolutamente tutto ciò che vuole, o non significare nulla; il "quadro" non è altro che un geroglifico; la sua forma non deve essere più plausibile o coerente delle cifre confuse di un messaggio criptato. Questa libertà permette inoltre agli ideatori di immagini satiriche di rivestire gli elementi di attualità, (personaggi e situazioni) in folli fantasie. Nel mondo degli emblemi, le immagini irreali più sorprendenti o più impressionanti possono essere create senza spese.

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Attribuito a George Cruikshank, Greys and Duns, luglio 1810 (Tegg Caricatures, Londres). [Scan: Coconino World]. Anche le scene apparentemente realiste, come quest'ultima, dissimulano un'intenzione metaforica, e dunque un gioco di deciframento - non narrativo- giustificando l'introduzione di etichette. (Ci si può inoltre domandare se le etichette a "lettura verticale", molto spesso utilizzate in queste immagini, non miravano deliberatamente ad una lettura in due tempi, in parte paragonabile alle soluzioni dei puzzle o rebus proposti alla sagacità dei lettori della stampa di oggi).


 

In questo contesto, la ragione per la quale le etichette non possono essere lette come delle semplici bolle diventano più chiare. Non c'è nulla di vivo o di naturale nelle costruzioni emblematiche, le loro figure abitano una dimensione che non partecipa né dello spazio né del tempo. È questa dimensione che si svelava nel teatro barocco quando l'azione si interrompeva per rivelare la verità atemporale della tragedia, sotto forma di un quadro congelato incarnato da emblemi viventi. Come potrebbero figure del genere dialogare liberamente, alla maniera dei nostri personaggi del fumetto?

 

Per contro, la funzione originale del dispositivo - la sua funzione di etichetta- è perfettamente appropriata al contesto. Nell'età della satira emblematica, le vera funzione delle etichette non differisce in nulla da quella dei filatteri del periodo medievale. In questo quadro, le figure, prese come elementi di un geroglifico o di un rebus da decifrare, si presentano esse stesse.

 

Questo ruolo determina in modo molto preciso il tipo di enunciato che esse possono veicolare, e il contesto in cui esse possono apparire: le "banderuole parlanti" (l'espressione è di Baudelaire) non hanno senso che nella dimensione atemporale e astratta di un "puzzle" che il lettore è invitato a risolvere.

 

La funzione di auto-presentazione spiega il carattere ieratico e spesso opaco del discorso veicolato dalle etichette, per chi le legge ingenuamente come delle bolle. Gli autori di satira (come l'inglese Gillray, durante il periodo napoleonico) danno prova di un brio sorprendente in quest'arte singolare del soliloquio di auto-presentazione. Ma se non ci si dà la pena di interpretare le etichette a partire dal titolo e dalla legenda che danno le chiavi principali delle sue immagini, il discorso dei suoi personaggi è incomprensibile.

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George Cruikshank’s Omnibus, (Londra: Tilt and Bogue, 1841), puntasecca. [Scan: Coconino World]. Le metafore e i giochi di parole abbondano in Cruikshank. Le etichette svolgono, in questi giochi di spirito, il loro ruolo abituale di auto-rappresentazione: bisogna leggerli come elementi di un puzzle (o di un rebus) da decifrare, a partire dal titolo e dalla didascalia del disegno, che ne forniscono le chiavi.

 

 

L'etichetta era dunque totalmente dedicata al gioco della decifrazione proposta al lettore, ed è cioè che lo rendeva incompatibile con lo sviluppo temporale e spaziale di una storia ad immagini. Un'immagine che partecipa ad un'azione progressiva è aperta: essa incita il lettore a elaborare (più o meno consapevolmente) delle ipotesi su ciò che segue.

 

Al contrario, la presenza di un'etichetta ferma il tempo e contribuisce a chiudere l'immagine su se stessa. Essa induce il modo (attivo e ludico) della decifrazione di un puzzle autonomo- di un rebus senza passato né futuro.

 

Nel corso della sua lunga carriera, George Cruikshank  estenderà l'impiego dell'etichetta ben oltre la satira grafica, in giochi visivi molto diversi che non hanno più che dei rapporti assai vaghi con il genere emblematico, ma che preservano la funzione tradizionale del processo e la sua esistenza nel corso dell'illustrazione umoristica, sino alla metà del XIX secolo. Le sue macedonie di immagini umoristiche, ad esempio, s'ingegnano spesso nel declinare un'idea sotto tutte le sue forme: ogni pagina trova così la sua unità nell'uno o nell'altro gioco di parole, il cui titolo dà la chiave. Gli elementi che la compongono sono accompagnati da etichette. Essi svolgono, in questo contesto ludico, la loro funzione abituale di discorso di auto-presentazione.

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Richard Felton Outcault, Hogan’s Alley Folk in the Surf (New York World, 14 juin 1896). L'onda, presentata sullo sfondo materializza una metafora verbale (la "ondata McKinley”, attesa alle prossime elezioni). Tipico delle satire grafiche emblematiche, l'immagine presenta un quadro atemporale e surrealista (uno dei ragazzini si sdraia sull'onda come su di un divano; un altro vi scarabocchia dei graffiti). È in questa immagine che la camicia da notte dello Yellow Kid assume per la prima volta il suo ruolo di etichetta. A metà strada tra il cartellone dell'uomo-sandwich e la banderuola parlante, questo dispositivo esiterà spesso, in Outcault, tra la funzione di auto-presentazione tradizionale e quella dell'auto-promozione commerciale. Hogarth, in alcune delle sue immagini, svolgeva forse già questo doppio senso della parola etichetta.

 

 

Uno dei pionieri del fumetto americano, James Swinnerton, ha evocato il passagio di consegne che, verso la metà degli anni 90 del XIX secolo, condusse all'invenzione della forma moderna della bolla. "Non si utilizzavano più ballons mostrando ciò che dicevano i personaggi" spiega Swinnerton, in un'intervista degli anni 40 del XX secolo, "La moda era stata sotterrata con l'inglese Cruiskshank. E poi venne il supplemento della domenica, e con lo Yellow Kid di Outcault, i palloni sono tornati ed hanno letteralmente riempito il cielo". Questa testimonianza accredita il ruolo svolto da Cruikshank, principale riferimento in materia di etichette per i disegnatori umoristici della fine del secolo, e conferma quello di Outcault nella resurrezione del processo (e la sua trasmutazione).

 

Le grandi immagini brulicanti dello Yellow Kid, che ricordano quelle di Hogarth e di Cruikshank, creano degli spazi grafici di una stupefacente eterogeneità. In modo intuitivo ed empirico, Outcault ha ritrovato i poli fondamentali della "battaglia delle immagini" di Hogarth, le due forme di fermo immagine" di Hogarth, quella emblematica (che pietrifica le figure nelle posture atemporali, fuori di ogni costrizione fisica) e quella istantanea (che afferra al volo dei personaggi in piena azione).


Infinitamente meno fondata che nell'opera di Hogarth, questo confronto non svolge non di meno, nelle immagini di Outcault, lo stesso ruolo d'interfaccia. Uno schermo che permette al disegnatore di convocare antiche soluzioni grafiche per interpretare nuovi  fenomeni, nuove lingue del mondo attuale. Si tratta, come per il passato, di stilizzare questi dialetti emergenti, di diagrammarli, per farli entrare nel gioco poligrafico- questo, naturalmente, allo scopo di attribuire loro, ironicamente, del senso. la resurrezione dell'etichetta, soluzione considerata obsoleta all'epoca, è esemplare di questo processo.

 

Le etichette ritornano sotto tre forme diverse nelle immagini dello Yellow Kid. La più spettacolare non è la più originale; il discorso scritto sulla camicia da notte gialla di Kid stesso assicura la funzione di auto-presentazione abituale. Il dispositivo si installa inoltre -non è un caso- in occasione di un cartoon tipicamente emblematico.


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Richard Felton Outcault, Hogan’s Alley, dettaglio della pagina del 13-09-1896. Il pappagallo: "Se non è che il primogrado [dell'iniziazione presentata nell'azione principale], che il cielo ci aiuti... (ecc.)". Il gatto: "Un giorno avrò quell'uccello. Parla troppo". Il ragazzo (che cade dal tetto ogni settimana): "Vorrei davvero farla finita con questa abitudine". Le etichette nelle immagini di Outcault- compresa la bolla del pappagallo- continuano a funzionare come lo facevano già nelle immaginio di Cruikshsnk. Con la sua semplice presenza, il pappagallo contradice tuttavia il senso tradizionale dell'etichetta, evocando l'idea (risibile all'epoca) che si possa considerarlo come una semplice immagine sonora, indipendente dalla struttura testuale soggiacente all'immagine.

 

 

Outcault utilizza così delle etichette per far parlare il ragazzino che, ogni settimana, immancabilmente, cade da una finestra sullo sfondo. Il ragazzo, stoico, commenta la propria caduta: l'etichetta compie qui ancora la sua funzione standard. Con la sua stessa presenza, conferma, egli conferma anche l'atemporalità surrealista di questa caduta senza impatto: possiamo vederci un "pezzo" di quadro vivente, senza passato né futuro, che rivela la dimensione dell'emblema. Ma un effetto più sottile si svolge qui. Perché i panorama furiosamente eterogenei di Outcault sono anche disseminati da numerosi altri incidenti, che derivano chiaramente dalla fisica dello slapstick. Presa tra queste due griglie di lettura, la caduta del ragazzo diventa ancor più affascinante: alla maniera di alcune illusioni ottiche, essa oscilla, senza poter scegliere, tra le due forme incompatibili di arresto sull'immagine.

 

Ma è la terza forma di utilizzazione dell'etichetta che va rivelarsi più interessante: vogliamo parlare della bolla del pappagallo, di cui Outcault si è progressivamente fatto un aspecialità (anche se l'effetto non era nuovo).

 

È importante comprendere che questa bolla- perché si tratta, questa volta, di una vera bolla- rappresenta per il lettore dell'epoca, un'incongruità comica. Ciò che la differenzia da tutte le altre iscrizioni partecipanti della lettura dell'immagine, compreso dalle altre etichette, è che essa fa entrare in uno spazio puramente scritturale un fenomeno sonoro di cui il pappagallo deteneva, sino a poco prima, l'esclusività. Da dove proviene l'incongruità comica di questo segno all'epoca? La cosa non è così facile da spiegare al lettore dell'era audiovisiva. Ciò che la bolla del pappagallo evoca, irresistibilmente, è il simulacro inquietante di una parola senza enunciatore. Un pezzo di testo che sfugge alla complessa struttura d'autorità, soggiacente a ogni specie di discorso (scritto o orale), e che, per questo fatto, inclina verso il lato dell'immagine: un'immagine sonora.

 

Con la sua semplice presenza, il pappagallo inverte dunque- con ciò l'effetto comico- Il senso tradizionale dell'etichetta: mentre quest'ultima non può comprendersi che tenendo conto del titolo e della didascalia, e cioè riferendosi al quadro testuale definito dall'autore, la bolla del pappagallo, al contrario, sembra in grado di liberarsi di questo quadro. Fluttua in tutta libertà, in tutta autonomia nell'immagine. Non è un filatterio: è una bolla.

 

Succede che Outcault era idealmente piazzato per avvicinare questa parola senza enunciatore di un'invenzione recente uscita da poco dal laboratorio di Edison. Nel 1889, alla grande fiera internazionale di Parigi, decine di migliaia di persone erano venute ad ascoltare venticinque fonografi che parlavano dozzine di lingue. Outcault, all'epoca, era il disegnatore titolato del giornale pubblicato dai laboratori di Edison. Membro del gruppo che aveva accompagnato l'inventore americano a Parigi, era stato il testimone diretto dell'immenso successo popolare per la nuova invenzione.

 

Gli specialisti della storia dei media che si sono interessati all'impatto culturale del fonografo descrivono l'esperienza della macchina parlante come una "nuova forma di citazione", combinando l'esperienza uditiva con una forma inedita di iscrizione. Questa nuova forma di mettere la parola umana  tra virgolette aveva meravigliato i primi testimoni, nella misura in cui il dispositivo "si leggeva da se stesso": come se bastasse inserire un libro nella macchina affinché la voce dell'autore si faccia udire.

 

Dall'etichetta alla bolla


La famosa tavola dello Yellow Kid e del suo nuovo fonografo, che molti storici americani considerano come la prima autentica pagina di fumetto, ci fa assistere alla prova ironica di questo nuovo modo di citazione. Notiamo che non si tratta che di prendere atto passivamente dell'invenzione. La gag lo dice chiaramente: Outcault non è ingannato dall'autorità di cui si reclama il fonografo. Il discorso tenuto dalla macchina è un pomposo testo di autopromozione commerciale, firmato dal giornale stesso (una pubblicità per il suo supplemento a colori). Ciò che è preso di mira dall'apparizione improvvisa del pappagallo (nascosto nella scatola), è il legame simbolico d'autorità che i produttori della macchina parlante cercavano ancora di mantenere, all'epoca, tra autore e citazione fonografica. Il pappagallo ridicolizza questa pretesa, e con un colpo di becco ridefinisce, profeticamente, il medium sotto l'angolo dell'immagine sonora. Colpito da questa rivelazione, Yellow Kid vacilla, letteralmente, nella sfera audiovisiva.

 

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Richard Felton Outcault, Yellow Kid e il suo Nuovo Fonografo (New York Journal, 25 octobre 1896). Vignetta 1 – Yellow Kid: ”Ascoltate le parole di saggezza del fonografo"/ Vignette da 2 a 4: (Il Fonografo si lancia in una tirata iperbolica sui meriti del supplemento a colori del giornale, vantando anche i meriti di Yellow Kid e della sua piccola amica)/. Vignetta 5 : Yellow Kid: “Il fonografo è una grande invenzione, non è così? -Questa poi! Aspettate che riporti questo uccelloi cretino dentro casa (ecc.)". Il pappagallo: "Non ne potevo più di stare chiuso in quella scatola così piccola, io".

 

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Il Fonografo di Edison, "Le Petit Français Illustré", copertina del 22 giugno 1889.

 

 

Alcuni commentatori si sono meravigliati, alla vista di questa pagina, che i disegnatori non si siano immediatamente incamminati sulla via di un fumetto disegnato "con le bolle" (bisognerà aspettare ancora qualche anno, infatti, affinché i confratelli di Outcault generalizzino il principio). Ma una volta di più, la perplessità dello storico, ingannato dalla sua familiarità con la forma attuale, è mal riposta. Yellow Kid et son nouveau phonographe [Yellow Kid e il suo nuovo fonografo] ci dà molto più diun "primo esempio" di fumetto moderno: la tavola è il luogo stesso in cui la scena audiovisiva su carta si definisce, non come un'evidenza, ma ben al contrario, come un'incongruità- un confronto, intrisa d'ironia, tra linguaggi incompatibili. In ciò la tavola è unica: non si voleva certamente rappresentativa di un genera futuro.

 

Il successo commerciale del fonografo giocava tuttavia in favore dell'adozione della bolla a spese dell'antica etichetta: la forma stessa del diagramma poteva suggerire una versione stilizzata del tubo del microfono di registrazione e del padiglione dell'apparecchio di Edison. L'antica metafora della banderuola scritta non poteva resistere a lungo a questa potente associazione. Tuttavia, il modo d'impiego della bolla restava interamente da creare. Quella dell'etichetta, ricordiamolo, era molto preciso: supponeva un certo tipo di quadro (l'atemporalità del rebus o dell'emblema), un certo tipo di lettura (la decodificazione di un'immagine intitolata e dotata di legenda, formante un problema chiuso), e anche un tipo ben particoilare di enunciati (sul modo dell'autopresentazione). Non si si può sostituire con un colpo di bacchetta magica questo funzionamento stabilito da secoli.

 

Intorno al 1900, i disegnatori umoristici si misero dunque a sperimentare. Il vero problema si riduceva infatti a una semplice equazione commerciale: la bolla diventava manifestamente molto popolare, ma il genere più apprezzato, all'epoca, era senza contesto quello delle storie senza parole, e più particolarmente, delle brevi sequenze di slapstick. Si doveva dunque trovare il mezzo di sincronizzare due famiglie di diagrammi, di cui la prima manteneva dei legami privilegiati con l'immagine sonora fonografica, e la seconda con il cinestoscopio. I laboratori di Edison si eranmo già posti la stessa domanda, ma in termini puramente tecnici. Avevano testato l'ipotesi audiovisiva cercando di combinare i due apparecchi (il disegno che presenta l'esperienza, quello che si ritrova anche nella maggior parte dei libri, è d'altronde firmato da Outcault!).

 

Il problema al quale erano confrontati i disegnatori umoristici erano tuttavia molto differenti. Somigliava molto più a quello che avrebbe incontrato trent'anni più tardi, Chaplin, Keaton e altri maestri commedianti, all'apparizione del parlato. Nella pantomima sulla carta, il vero autore, è il corpo dell'attore grafico, coinvolto nel mondo delle forze meccaniche. Soggetto delle sue proprie azioni, il corpo proietta le sue intenzioni e costruisce un discorso visivo- la catena delle cause e degli effetti psichici fungente da sintassi. Come "agganciare" delle bolle in un tale mondo in altro modo che sotto forma di semplici esclamazioni - o immagini sonore- isolate? In altri termini, come sincronizzare la strisce immagine e la banda-suono in modo fluido e vivente senza creare conflitti d'autorità?

 

 

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F. B. Opper, Alphonse and Gaston (circa 1902). [Scan: Coconino World]. Alphonse e Gaston, impigliati nelle loro interminabili amabilità, sono nell'incapacità cronica di reagire ai pericoli imminenti. Il dialogo veicolato dalla bolla parte dallo stesso punto dell'azione psichica, è situato spazialmente, persiste nel tempo. Il linguaggio reificandosi, partecipa pienamente della pantomima visiva. Questa trovata permette a Opper di sincronizzare la scena audiovisiva sulla carta ricentrando la bolla sul marchio comportamentale dei diversi personaggi (là dove l'etichetta rinviava, per definizione, alle intenzioni dell'autore):

 

 

All’avviso di tutti gli specialisti, è F. B. Opper, un veterano dell'illustrazione umoristica che, all'epoca, contribuì più di tutti a generalizzare l'uso della bolla nella pantomima burlesca. Una comparazione tra due delle sue serie faro permette di capire il nuovo modo d'uso della bolla, che emerge un po' dopo il 1900. La prima serie, Maud la Mula, è centrata su un animale (muto) di cui l'unica caratteristica è il comportamento testardo. Quando Maud ha deciso di fermarsi da qualche parte, su una ferrovia ad esempio, niente può decidere a farla muovere, e soprattutto non l'arrivo di una locomotiva. Tutte le scenette girano intorno a questo leitmotiv. Opper darà a Maud una serie sorelle, Alphonse e Gaston, che traspone questo "marchio comportamentale" sul piano linguistico, e allo stesso tempo, definisce una volta per tutte il nuovo statuto della bolla assicurando la sua buona sincronizzazione con il mondo dello slapstick: Alphonse e Gaston (stereotipi del Francese) sono afflitti da una forma di cortesia patologica che li rende incapaci di reagire di fronte a una catastrofe imminente. Le loro interminabili scambi di cortesia- "Dopo di voi, mio caro Gaston"/ "Assolutamente, no, mio caro Alphonse!"- sono l'immagine allo specchio del comportamento della mula.

Mentre la funzione di auto-presentazione definiva il modo d'uso dell'etichetta, la bolla, nel mondo dello slapstick, si collega al marchio comportamentale del personaggio da pantomima. Essa fa scaturire la parola allo stesso punto dell'azione, assimilandola a un comportamento che persiste da un'immagine all'altra (come persiste, attraverso la sequenza, il profilo e le manie dell'attore grafico). In una certa misura, essa reifica la parola, la rende tanto solida, visibile e prevedibile, quanto la locomotiva che travolge i due simpatici cretini aggrovigliati nelle loro formule di cortesia.

 

La bolla situa bene la parola, nello spazio-tempo dello slapstick: essa incastra l'immagine sonora in rapporti spaziali e meccanici specifici (contrariamente ai dialoghi da un'opera teatrale, aed esempio). Questo modo d'uso, che Hergé sfrutterà brillantemente creando i Dupondt, Haddock e Tournesol, basta a operare la sincronizzazione desiderata. Dà un ancoraggio comune alla banda suono e alla banda immagine: detto in altro modo, fonda, trent'anni prima il cinema parlato, una scena audiovisiva su carta.

 

 

Thierry Smolderen

 

 

 

 

[Traduzione di Massimo Cardellini] 


 

 

 

Titolo originale del saggio: Du label à la bulle.

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