JOSSOT LIBELLISTA
Jossot è soprattutto conosciuto per le sue caricature uscite sulla rivista "L'Assiette au beurre", il giornale satirico più accurato e uno dei più virulenti della Terza Repubblica. Il suo grafismo originale, combinando dei colori vivi e contrastati, stesi in modo uniforme, con un tratto spesso e nervoso, serve un umorismo particolarmente corrosivo. Questi disegni costituiscono un patrimonio che fa parte dell'immaginario dei nostri caricaturisti attuali. Jossot seduce anche le giovani generazioni perché l'oggetto del suo umorismo non è di circostanza: è come "pensatore solitario" che egli disegna. La sua arte non è quella di un semplice disegnatore di stampa che necessita di consegnare un commento pertinente sull'attualità della sua epoca. La sua opera reca il segno di una necessità identitaria, di un'urgenza metafisica e di un dramma esistenziale. È in ragione di questo spessore filosofico che egli si impadronisce di soggetti così atemporali e universali come la morte, la sessualità, il denaro, la corruzione, le convenzioni e pressioni sociali, la libertà e l'indipendenza individuali, la giustizia, la crudeltà umana, ecc.
Un'esposizione, ospitata alla biblioteca Forney nel 2011, ha valorizzato la diversità e la coerenza del suo talento: autore di manifesti, scenografo, pittore, acquarellista, romanziere, saggista e giornalista [1]. La riedizione, lo stesso anno, della sua raccolta Le Foetus récalcitrant [Il feto recalcitrante] [2] ha tratto la sua penna dall'oblio. Raccogliendo oggi la parte migliore dei suoi saggi letterari, soprattutto editi su giornali tunisini tra il 1911 ed il 1927, questo volume mostra come Jossot è rimasto caricaturista pur dedicandosi alla scrittura. Non soltanto il suo immaginario satirico non è cambiato, ma la sua lotta contro l'ingiustizia e la stupidità umana rimane strettamente la stessa, il suo umanesimo intransigente lo porta a denunciare instancabilmente gli abusi del potere e le logiche economiche che portano l'uomo alla sua perdizione.
Da caricaturista a libellista
Nel 1911, quando Jossot pubblica il primo testo di questa raccolta, è uno dei caricaturisti parigini più noti. Les Humoristes nous font rire [Gli umoristi ci fanno ridere], testimonia tuttavia di un malessere: sotto la Terza Repubblica, un disegnatore della stampa non è considerato come un vero artista.
Come sfruttare le qualità espressive, le specificità plastiche peculiari della caricatura, pur distinguendosi da una produzione umoristica o volgare, prevalentemente dedicata al divertimento borghese? Questo è appunto il dilemma di Jossot che sceglie, tra i giornali, quelli che manifestano un'autentica esigenza artistica. Se "L'Assiette au Beurre" ha accolto la maggior parte della sua produzione tra il 1901 ed il 1907, il caricaturista sperimenta sin dal 1904 delle difficoltà a piazzare i suoi disegni. Tra il 1904 ed il 1906 il panorama economico della stampa umoristica muta: numerosi giornali chiudono i battenti e i nuovi titoli si fanno rari. I lettori sembra più voler ridere che meditare e, difendendo la nobiltà della sua arte, Jossot rivela l'intensità della sua mancanza di riconoscimento. Altro sintomo di questa ricerca di legittimità sociale, si forma alla pittura e inizia un'opera letteraria.
Mentre la stampa affonda in una vera e propria crisi nel 1910, egli abbandona il disegno e porta la sua arte satirica alle dimensioni della tela esponendo al contempo dei paesaggi orientaleggianti. Una doppia eredità gli assicura di fatto una libertà artistica e intellettuale assoluta. Jossot non fugge soltanto "la caricatura che non è che uno sfogo dell'Odio" [3]; non sopporta più la volgarità parigina, la grande città in cui le sue antiche ambizioni volgono alla misantropia, ma anche la città in cui, dal 1896, non si capacita del lutto per Irma, la sua unica figlia. È in seguito a questo avvenimento tragico che si è trasferito in Oriente allo scopo di aprirsi a nuovi orizzonti.
Quando si è appena installato a Tunisi, "Le Scorpion", principale giornale satirico della colonia, pubblica un articolo intitolato "Le bourgeois" che mostra come Jossot rimanga fedele ai suoi bersagli preferiti. L'artista lascia tuttavia molto presto la stampa umoristica per consegnare le sue cronache acide a "La Dépêche" tunisina, il quotidiano più letto dai Francesi di Tunisia. Alla ricerca di esotismo e diversità, fuggendo l'Occidente e la sua opera "civilizzatrice", egli denuncia molto logicamente l'ibridazione culturale dell'elite tunisina. Il suo sguardo d'esteta vorrebbe fare della vita indigena un'opera d'arte da cui sarebbe bandita ogni traccia dell'Occidente. In Impressions d'Extrême Sud [Impressioni dell'Estremo Sud], il pittore rivela che ha avuto l'idea di convertirsi all'Islam sin dal 1910. Dato che realizza questo desiderio soltanto nel 1913, i suoi articoli sulla cattedrale di Tunisi così come le sue divagazioni sulle virtù della pelosità, sembrano più o meno destinati a mettere in scena una conversione ampiamente mediatizzata [4].
Passato "nell'altro campo" di questa società polarizzata all'eccesso, l'artista manifesta delle posizioni conservatrici, ma la sua lotta contro le ingiustizie coloniali lo avvicina agli indipendentisti tunisini. Facendosi apertamente difensore dei senza voce, il porta parola dei deboli e dei vinti, Jossot rimane guidato da una filosofia individualista e umanista. È il motivo per cui, malgrado le sue posizioni tradizionaliste, provoca un dibattito sulla clausura delle donne, denunciando, come faceva con le sue caricature, le pressioni sociali, le contraddizioni e le codardie che mantengono un ordine sociale unico e crudele.
Durante la Prima Guerra mondiale, Jossot collabora con alcuni organi pacifisti. Sotto forma di racconti filosofici o storielle anodine destinate ad aggirare la censura, denuncia una carneficina orchestrata per gli interessi economici di una minoranza di affaristi. Se i suoi articoli più feroci, come La dernière pirouette [L'ultima piroetta], sono stati a volte censurati, Jossot ne trae un eroismo ed una fierezza senz'altro un po' esagerate: "Anastasia non si è accontentata di farmi dei tagli: convertiva, quasi sempre, i miei articoli in esposizioni di bianco, sopprimendo persino il titolo, non lasciando che la firma. Ho avuto così la gloria di collaborare "immaterialmente" al "Bonnet Rouge", al "Journal du Peuple" a "La Tranchée républicaine"; il manifesto che annunciava l'uscita di questultimo giornale è stato disegnato da me. Avrei potuto essere fucilato come chiunque altro" [5]. In un articolo su Nietzsche gioca sottilmente con la germanofobia dominante per far passare una propaganda antimilitarista sotto il segno del filosofo... La guerra ha accentuato la sua rivolta contro l'umanità: Jossot analizza e denuncia come una follia collettiva il fenomeno che conduce i suoi vecchi amici a tradire la loro coscienza individuale per aderire ai miti bellici collettivi.
Indignato, isolato, l'artista vilipendia i "selvaggi bianchi" che lo fanno "vergognare di essere un uomo" come scrive in Opinion d’un âne [Opinione di un asino]. Il conflitto segna profondamente la sua prosa ed il suo umorismo diventa sempre più cinico. Così, in Un homme d’affaire [Un uomo d'affari], lo "zozzone" è abbastanza cupido per voler valorizzare la carne umana abbattuta industrialmente durante i combattimenti...
Il modo in cui Jossot attacca la scienza e l'istruzione può sembrare eccessiva, semplicistica o paradossale da parte di un intellettuale, ma è anche legato agli avvenimenti sanguinosi. L'artista precisa altrove che critica più le applicazioni della scienza della scienza stessa. Lungi da far grande l'uomo, di farlo vivere in armonia e nella bellezza, le invenzioni dello scienziato sono approdate alla distruzione delle risorse terrestri e di una parte dell'umanità. È rifiutando la sua identità europea che Jossot stigmatizza questo scacco della cultura occidentale, in termini che ragionano sempre con un'attualità palese.
Nel 1923, l'artista è stato iniziato al sufismo nella confraternita diretta dallo sceicco Ahmad al-‘Alawî [6]. È impregnato di teosofia che egli affronta l'esoterismo islamico e finisce con il forgiarsi un sincretismo spirituale del tutto originale. Invitando i suoi adepti all'introspezione individuale, la teosofia ha ampiamente preparato Jossot a intraprendere la via del sufismo. La sensibilità comune a queste due discipline spirituali è palpabile negli articoli che egli pubblica nel 1927. Les excentriques [Gli eccentrici], effettua così un vero autoritratto in cui l'autore propone la sua arte di vivere e i suoi valori come modello: essere qualcuno, migliorarsi, realizzarsi, dotare l'umanità di caratteri, piuttosto che che avere e crearsi dei bisogni che non si può soddisfare, "vivere nella bellezza" piuttosto che aver penosamente bisogno.
Una scrittura forgiata dalla caricatura
Nel 1927, Jossot comincia a redigere Le Fœtus récalcitrant [Il Feto recalcitrante]. In questo strano libricino che mischia teorie artistiche, critiche sociali e interrogativi metafisici, l'autore evoca esplicitamente le sue difficoltà di scrittura: "L'abitudine che ho contratto nel redigere delle brevi didascalie mi priva di ogni facilità nel moltiplicare le parole all'infinito, dipanare periodi interminabili, stemperare la mia prosa; non riesco a intingere nella salsa dei piatti che confeziono. È per questo, che avendo avuto l'dea di definire la caricatura e il ruolo del caricaturista così come li ho concepiti, non sono riuscito a partorire che questo minuscolo opuscolo" [7].
In realtà, redigendo questo breve saggio, Jossot ha frugato nella sua opera di cronista. Il lettore potrà inoltre ritrovarvi molti articoli che l'artista ha voluto valorizzare integrandoli nel volume. Non possiamo che constatare sino a qual punto il respiro letterario del disegnatore si trova sminuito da questa operazione! Evidentemente, Jossot non è a suo agio che nella forma breve e l'articolo di giornale è un calibro che si adatta meravigliosamente al suo talento di narratore e panflettista.
Durante la sua vita, l'artista ha raccolto i disegni che pubblicava sui giornali per costituire dei fascicoli di documentazione. Sin dal suo arrivo in Tunisia, nel novembre del 1911, ha cominciato ad incollarvi i suoi articoli e le rare caricature che ancora pubblicava. Smette di disegnare dopo la sua conversione all'Islam, ma i suoi ritagli di stampa derivano chiaramente dalle sue caricature. Come confessa egli stesso, diventando giornalista Jossot è rimasto caricaturista: "Ho combattuto a lungo attraverso la caricatura; oggi ho presso un'altra arma: ho sostituito la penna con la matita; ma non ho cambiato coscienza" [8].
Sintomo dell'importanza accordata a questi articoli da parte del loro autore, le modifiche intempestive degli editori sono scrupolosamente corrette ed i testi censurati sono ricopiati integralmente. Come se prendesse a testimone l'intera Storia, Jossot stigmatizza gli errori volontari in note marginali: "Testo reso incomprensibile da un caporedattore ostile", "articolo soppresso dalla censura"... Tutte le didascalie sono ugualmente ristabilite nella loro versione originale. Jossot le difende gelosamente perché le considera come una parte essenziale della sua opera. Protesta sempre con veemenza contro queste offese, giungendo sino ad additare della sua riprovazione i giornali stranieri. Così in una lettera a Jena Grave, nel 1908, a proposito di un foglio cecoslovacco: "Se conoscete il direttore di questa pubblicazione, vi sarei obbligato di fargli sapere che lo dispenso, per il futuro, di improvvisarsi mio collaboratore aggiungendo una didascalia in basso al mio disegno" [9].
Jossot non è diventato scrittore all'improvviso, la sua scrittura è intimamente legata alla sua pratica della caricatura. Ha imparato a scrivere attraverso le caricature e difendendo la sua posizione sociale di artista-caricaturista. Secondo lui, il vero caricaturista "brandisce due armi: la penna e la matita, perché un disegno senza didascalia non è una caricatura" [10]. Ora, egli prosegue, una didascalia fibrosa si legge male e penetra difficilmente nei cervelli. Il testo conterrebbe il messaggio filosofico o pubblicitario, mentre l'icona sarebbe destinata a tetanizzare lo spirito per abbattere la sua resistenza. I rapporti tra disegni e didascalie si rivelano in realtà molto più sottili poiché, molto spesso, l'ironia sorge da uno scarto tra ciò che l'immagine mostra e ciò che dice la didascalia. Il disegno partecipa così pienamente al messaggio sia per il suo stile sia per ciò che "racconta". Che Jossot faccia delle didascalie il solo ricettacolo o veicolo del senso, rivela l'importanza del lavoro di scrittura all'opera nella sua arte satirica.
È proprio questo talento letterario che egli intende valorizzare allo scopo di distinguere i caricaturisti dagli illustratori: "Non voglio limitarmi ad una semplice compito di illustratore allorché posseggo, anch'io, il raro dono della didascalia", diceva nel 1904 in una lettera a Jehan Rictus che gli offre la sua penna [11]. L'arte dell'efficacia semantica che Jossot elabora nelle sue caricature sembrava contaminare l'insieme dei suoi modi di espressione.
I suoi primi articoli assumono sin dall'inizio il tono del manifesto e definiscono notevolmente la posta in gioco estetica della sua arte. Il loro autore si pone come "instauratore" e intende colpire gli spiriti sia con il suo disegno che attraverso la convinzione della sua prosa e la solidità del suo programma. La retorica di cui egli fa uso per rivendicare il suo posto nella gerarchia artistica e sociale sembrava forgiata dal mestiere che essa difende: "Non si deve cercare in Jossot un soggetto sfumato", diceva il critico d'arte Émile Straus [12]. Riducendo la definizione della caricatura alla propria estetica, Jossot finisce con l'apparire molto singolare! Egli impone le sue vedute sotto forma di asserzioni brutali, su un tono messianico o intimidatorio, di espressioni colorate sfiorante l'insulto o, più elegantemente, sul modo dell'aforisma. Questa retorica fortemente influenzata da Nietzsche e forse dalle manifestazioni futuriste, pone il suo autore in posizione di maestro legittimo mentre effettua la lezione a una "turba" di ignoranti. Il lato solenne di queste dichiarazioni è temperato dall'umorismo del caricatursita che risorge, qua e là, nel contenuto così come nello stile letterario. Tutte queste caratteristiche si d'altronde nella sua corrispondenza.
Non appena si lancia in un opera di vasto respiro, Jossot si rivela piuttosto maldestro. Il suo primo romanzo, eloquentemente battezzato Viande de "Borgeois" [Carne di "Borgese"] intraprende una satira dell'anarchismo. Intreccia curiosamente il narrazione letteraria, la storia ad immagine e l'immagine storica. Il suo canovaccio molto fantasioso sembra soprattutto destinato a condensare e legare tra di loro, sotto forma verbale, l'insieme delle visioni caricaturali presenti nell'immaginario del disegnatore.
In Viande de "Borgeois", l'editore di Jossot annunciava annunciava l'apparizione della sua prossima opera, intitolata Vadrouilles astrales [Passeggiate astrali], che si beffava probabilmente degli ambienti spiritisti. Dopo la morte di sua figlia, Jossot aveva infatti cominciato a frequentare questo genere di circoli. Deluso da queste riunioni in cui ha l'impressione di essere capitato tra i "chiaroveggenti da fiera campestre" [13], ne fa un ritratto satirico in un numero di "L'Assiette au Buerres", proposto nell'aprile del 1904. Giudicato "molto strano" dal suo amici Jehan Rictus, l'albo è tuttavia rifiutato. Il progetto di una satira contro gli spiriti non è abbandonato tuttavia e assume allora la forma di un romanzo annunciato, ma il suo titolo è diventato "Plus loin que le tonnerre de Dieu. Roman magico-burlesque" [Più lontano del fulmine di Dio. Romanzo magico-burlesco]. Quest'opera, che doveva anch'essa essere illustrata, non è mai stata pubblicata ma molti articoli sembrano riciclarne i frammenti.
Quando Jossot risiede in Tunisia, questo abbozzo è ripreso, reso più gradevole da una satira anticoloniale: "Per fortuna che la nostra spiaggia è relativamente tranquilla, ne approfitto per perpetuare un nlibretto di glosse mistiche e antiputridi nelle quali apprezzo come si deve la nostra ammirevole civiltà dei Caraibi", scrive in una lettera al pittore danese Ernest Vilhelm Brandt [14]. La componente spiritomistica del manoscritto iniziale sempre tuttavia essere scomparsa nel 1923 quando Charle Géniaux menziona l'opera, finalmente intitolata "Les Sagouins" [I Sanguigni], in cui gli ricopre di improperi il mondo coloniale e i "neocivilizzati" [15]. Una nota confidenziale di polizia segnalava già nel 1919 che stava scrivendo un libro abominevole contro i Francesi di questo paese e del tutto a favore dei musulmani che sarebbero, secondo lui, costantemente oggetto di persecuzioni da parte delle autorità del Protettorato e soprattutto dei coloni" [16] "La fête du fumier" [La festa del letamaio], "Un homme d'affaire" [Un uomo d'affari] e alcuni altri testi recano il segno di questi romanzi abortiti, riciclati sotto forma di cronache o, più probabilmente, elaborati all'interno di questa opera.
In "La Conversion de Jossot", che costituisce al tempo stesso uno sberleffo al mondo coloniale e una specie di coming-out religioso, il "rinnegato" annuncia un libro destinato a spiegare il suo atto. Una versione francese del testo è probabilmente esistita, ma soltanto una traduzione intitolata "Ma Conversion" [La mia conversione], redatta in un arabo molto grosolano, è stata pubblicata nel 1913. Il convertito racconta dettagliatamente il suo percorso spirituale: la sua esperienza spiritista, il suo breve passaggio in una loggia martinista, ecc. Vi si rileva anche un attacco contro i "neocivilizzati" e il mondo coloniale, così come un passaggio che si ispira ai suoi articoli sulla cattedrale di Tunisi. Jossot vi descrive in seguito le sue relazioni con i Padri bianchi, la sua amicizia con Ali Abdul Wahab [17] e i suoi legami con un Europeo convertito, Mohammed bel Hadj Abderrahmane Mader. Una buona parte di questo racconto è stata ripresa da Jossot nelle sue "Memorie", intitolate "Goutte à gotte" [Goccia dopo goccia], opera inedita sino a oggi. Anche se alcuni passaggi di "Ma Conversion" sono reimpiegate in "Le Sentier d'Allah" [Il sentiero di Allah], non si tratta dello stesso racconto: in quest'ultimo libro, pubblicato a spese dell'autore a Hammamet nel 1927, Jossot descrive il suo viaggio sino alla confraternita dello sceicco Ahmad al-Alawî, a Mostaganem (Algeria), per esservi iniziato al sufismo. La storia di quest'ultima opera non è meno tumultuosa di quella delle sue pubblicazioni precedenti, poiché doveva inizialmente comportare più di 200 pagine con una parte romanzesca e numerosi disegni... Infine, l'ultima pagina di "Goutte à goutte", probabilmente redatta nel 1951, sembra riasumere l'impresa letteraria di Jossot: l'artista vi compila la sua bibliografia, ma tutti i suoi libri sono seguiti dalla menzione "Esaurito".
Evidentemente, la documentazione a stampa nella quale Jossot compilava i suoi articoli svolge un ruolo centrale in questi numerosi tentativi editoriali, abbandonati, ripresi, ritagliati poi risistemati... e infine sommersi realmente da edizioni a buon mercato, a npagamente da parte dell'autore, senza illustrazioni, troppo confidenziali e mal diffuse. L'articolo funziona come una specie di modulo o di pietra letteraria che l'autore può combinare in una scrittura che procede per agglomerazione, per ibridazione e per escrescenza più che per costruzione. Un po' alla maniera delle sue caricature che si trovano curiosamente svuotate da tutto il loro nervosismo quando l'artista tenta di trasporle sulla tela, le sue cronache perdono molto dellal loro freschezza quando lo scrittore tenta di dar loro una forma letteraria più ambiziosa. Radunando queste pepite così come sono apparse sulla stampa, il presente volume rende palpabile le similitudini tra lo stile grafico e la scrittura del caricaturista. C'è sicuramente un linguaggio simbolico e un immaginario grottesco comune ai due medium, ma anche il formato, il ritmo, la concisione e un modo disinvolto di maltrattare la lingua con brio: Jossot scrive per tratti e arabeschi deformanti.
Henri Viltard
[Traduzione e cura iconografica di Massimo Cardellini]